(U.G.) Vincenzo Mercurio è un wine maker a cui piace volare alto. Non per nulla ha denominato la propria attività di consulenza “Le ali di Mercurio”. Nato a Castellammare di Stabia e laureato alla Facoltà di Agraria della storica Università di Portici, si è fatto conoscere per il suo approccio sempre rispettoso per i territori in cui viene chiamato a lavorare. Molta Campania (ovviamente), ma non solo. Vincenzo Mercurio ama allargare gli orizzonti e si è spinto anche in Sardegna, in Puglia, in Basilicata, in Molise, persino in Friuli. Sempre con ottimi risultati, realizzando vini mai scontati perfettamente aderenti ai territori di provenienza delle uve.
In realtà ritenevo Vincenzo più portato alla valorizzazione dei vini bianchi, ma in realtà non è affatto così. Ho scoperto la sua “vena rossista” nell’occasione di “Beviamoci Sud”, l’evento dedicato ai migliori rossi del Meridione d’Italia svoltosi a Roma ad inizio febbraio.
Nel corso del seminario dedicato ai suoi vini – moderato con garbo dal collega Luciano Pignataro – ha presentato otto tipologie di rossi che hanno tutti almeno due punti in comune: Vincenzo ha sposato senza tentennamenti la via del biologico; è sempre rispettoso dei vitigni (alcuni quasi in via estinzione), senza voler imporre a tutti i costi la propria tecnica enologica.
Eccoli, i vini, in un viaggio ideale che spazia su buona parte del nostro Meridione.
Il Verro – Casavecchia “Lautonis” 2017 – Terre del Volturno IGT
Si decolla con un Casavecchia, vitigno poco produttivo e scorbutico, da cui si punta ad ottenere vini non certo di approccio facile. E’ questa la prima annata a certificazione biologica per l’azienda di Formicola, piccolo centro dell’Alto Casertano. E’ uno schiudersi graduale di frutti di bosco, mora di gelso e china. Al sorso punta su freschezza e struttura pur con qualche spigolo tannico ancora da smussare che non gli permette un volo ancora lineare. Lo hanno definito il “classico vino gastronomico”. Io gli darei ancora un po’ di tempo. Affinamento solo in acciaio. Prezzo in enoteca: 15-18 euro.
Bosco De’Medici – Pompeii 2017 – Pompeiano Rosso IGT
A velocità da crociera sorvoliamo idealmente il Vesuvio per apprezzare il Piedirosso, vitigno allevato nel vigneto pre phyllossera vecchio di 150 anni de “La Rotonda” a 250 metri sul livello del mare. Terreni sabbiosi, intrisi di minerali e di origine vulcanica che spingono l’aspetto giovane e scalpitante di questo rosso da cui si respira davvero il territorio. Finezza e grande sapidità; meno muscoli. Il 90% affina in acciaio, il 10% fa un passaggio in tonneau. Prezzo: 15-18 euro.
Masseria Faraona – Nero di Troia 2016 – Castel del Monte DOC
Si vola con deviazione verso Est destinazione Puglia per assaggiare un rosso di struttura. L’azienda è un’antica masseria ristrutturata che si trova nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Quello che colpisce subito è la veste rosso rubino impenetrabile nel calice. Il vigneto si trova a 450 metri sul livello del mare su terreno calcareo. Svela presto un mix in divenire di gioventù ed evoluzione accennata in cui spiccano cioccolato scuro e chiodi di garofano. Manco a dirlo, affiora netta l’impronta calcarea.
E’ un rosso di grandi potenzialità, vivace, nervoso, in cerca di equilibrio, ma con tanta di quella freschezza che lo farà apprezzare ancora di più fra un paio di anni. Matura in barriques di 2° e 3° passaggio per 10 mesi, poi affina 3 anni in bottiglia. Si trova a 18 euro.
Audarya – Nuracada – Bovale 2017 – Isola dei Nuraghi IGT
La transvolata dall’Adriatico attraverso il Tirreno ci fa atterrare in Sardegna, esattamente a Serdiana in provincia di Cagliari. E’ qui che sorge Audarya che significa “nobiltà d’animo” secondo un’antica lingua orientale. La cantina si trova nel bel mezzo dei resti di un villaggio nuragico. Il vino, Nuracada, prende invece il nome da un paesino medioevale che sorgeva nella zona. Nicoletta e Salvatore Pala rappresentano la nuova generazione aziendale sotto lo sguardo vigile del papà Enrico. E bisogna dargliene merito perché – pur essendo una realtà giovane – si sono dedicati totalmente alla valorizzazione dei vitigni autoctoni. Questo nel calice è un Bocale sardo e testardo fino al midollo. C’è il marker netto del mirto, poi un bouquet di balsamico, pepe rosa, bacche di ginepro, incenso. Il sorso è come una sferzata di Maestrale che batte le coste: intenso, irsuto, palpabile di grande freschezza. Matura in piccoli fusti di rovere per 12 mesi. Prezzo in enoteca: 25 euro.
Claudio Cipressi – “Tintilia 66” 2012 – Tintilia del Molise DOC
Nella “regione che non c’è” non ci sono aeroporti, ma facciamo lo stesso uno scalo con la fantasia, Anche perché ne vale davvero la pena. Questa Tintilia, la vera uva identitaria del luogo, cresce in un vigneto sito a 520 metri di altitudine a San Felice del Molise. Ha tanti anni di più rispetto agli altri rossi degustati e li sfrutta appieno. Possiamo paragonarlo a uno di quegli aeroplani ad elica della prima guerra mondiale: questa Tintilia però vola alto, senza tentennamenti e colpisce il bersaglio. E’ tabacco dolce, pepe, chicchi di caffè, menta e liquirizia. Vince e convince perché è austero ed elegante. E’ al picco della sua piacevolezza: beviamolo adesso. Affinamento 36 mesi in legno. Si trova intorno ai 20 euro.
Tenuta Parco dei Monaci – Spaccasassi 2016 – Moro di Matera DOC
La tenuta si trova a sud di Matera. Nel XVI secolo era proprio un possedimento dei Monaci Benedettini. Per questo rosso Vincenzo deroga dalla sua abituale tendenza a trattare solo autoctoni. Per lo Spaccasassi si plana su un blend di Cabernet Sauvignon 50% con il restante 50% da Merlot e Primitivo. Una sorta di “Super Lucano”, uno dei pochi in regione. Un vino che prova a strizzare l’occhio al gusto internazionale, se era questo l’obiettivo. Diffonde spezie officinali, note balsamiche, rosmarino, incenso, e affiora qua e là il vegetale tipico del Cabernet. Anche se sembra un po’ retrò si fa apprezzare perché ben costruito. Elegante, vibrante, sempre pronto al decollo. Matura per 18 mesi in barriques francesi. E si sente! Euro 23,50 in enoteca.
Fattoria La Rivolta – Terra di Rivolta 2015 – Aglianico del Taburno DOC
Si torna in Campania e precisamente a Torrecuso, nel Sannio. Per l’azienda di Paolo Cotroneo, un Aglianico del Taburno da manuale, frutto di un bel mix di gioventù ed evoluzione. Ci sono precisione enologica e attenzione nei particolari che si evidenziano nel calice, nonostante l’annata calda. Spazia dalla confettura di ciliegia al tabacco, dal cuoio al rabarbaro, su uno sfondo di macchia mediterranea che segna e caratterizza il territorio di provenienza. Può dare il meglio fra un paio di anni. Affinamento: 18 mesi in barriques nuove e 18 mesi in bottiglia. Euro 30.
Tenuta Sant’Agostino – Anfora del Calore 2016 – Beneventano IGT
L’ultimo vino e per me il primo in quanto a gradimento personale. E’ certamente il più originale per la sua macerazione sulle bucce e l’affinamento in anfora di terracotta (alla Georgiana). Da uve Aglianico coltivate a Solopaca (Benevento), prodotto dalla famiglia Ceparano. Si distingue per le sue “quasi” dolcezze, per la scia di frutta rossa fresca e in confettura, nettissima, ma soprattutto perché il sorso è intenso, tridimensionale, un’autentica bomba: ti rapisce e ti fa volare altissimo. E’ solo uno dei sorsi perché poi lo bevi ancora e poi ancora. Un vino audace, che denuncia 16% alcol ma non li dimostra affatto. Coraggiosamente domato! Prosit!
Con i complimenti meritati a Vincenzo Mercurio per la flessibilità e la versatilità dimostrate nel saper lavorare in territori così diversi.