di Marina Alaimo
In questo piccolo fazzoletto di terra irpina si sono scritte pagine importanti sulla storia del Fiano di Avellino. Antoine Gaita ha avuto l’intuito e la caparbietà di portare alla ribalta questo cru, assecondandolo con naturalezza e rispetto reverenziale, sentimenti che nel tempo gli hanno dato ampiamente ragione.
Forse il nome della cantina non è ancora fortissimo, mentre quello del vino Vigna della Congregazione accende subito l’idea di una bevuta strepitosa. Evoca poi qualcosa di sacrale, oserei dire sia la sintesi di un piccolo miracolo accaduto su questi terreni appartenuti in un lontano passato alla Chiesa, particolare che ha dato origine al nome in etichetta.
Erano veramente poche le risorse iniziali sulle quali poter investire, eppure il fattore umano – e qui ce n’è tanto, tantissimo – ha avuto la meglio su qualsiasi altro progetto di alto marketing o business aziendale. Antoine era certissimo che concentrandosi sull’identità specifica delle sue vigne, in via Toppole, avrebbe ottenuto un Fiano di Avellino unico nell’espressività, profondo e coinvolgente. E le cose sono andate proprio come lui aveva intuito e auspicato, sempre affiancato da sua moglie, Diamante Renna.
Prima annata in commercio è stata la 1997 che, nella sua ambizione di farsi conoscere semplicemente per quello che fosse, ha introdotto concetti nuovi nel mondo del vino in Irpinia. Innanzitutto quello di raccontare la vigna nel bicchiere fino all’ossessione, poi quello di investire sul tempo anche con i vini bianchi, di attendere almeno due anni dalla vendemmia prima di farlo uscire in commercio, e – non ultimo – di lavorare nel pieno rispetto del suolo e dell’ambiente.
Oggi suonano concetti scontati ed anche di tendenza, ma più di vent’anni fa, in questo territorio era quasi anarchia. L’altro grande obbiettivo raggiunto sta nel fatto che un’azienda così piccola potesse fare tanto rumore, che un piccolo vignaiolo potesse essere al centro dell’attenzione dei winelovers e della stampa di settore con un entusiasmo da superstar. Insomma, una piccolissima azienda come Villa Diamante già alla seconda annata, la 1998, da queste parti era leggenda, riuscendo ad accreditarsi come una delle migliori bevute d’Europa.
Anche la piena sintonia tra Antoine e Diamante è stata fondamentale: entrambi rientravano dall’estero dove le famiglie erano emigrate, lui dal Belgio e lei dagli Stati Uniti. Oggi quei quattro ettari di Irpinia, anzi, di Montefredane, fanno il giro del mondo ed a condurre l’azienda sono Diamante insieme a sua figlia, Serena Gaita, che studia enologia.
Vigna della Congregazione si fa notare per il suolo argilloso e marnoso, posta a 400 metri di altitudine, con un’esposizione a nord est. Le viti, che vanno dai 15 ai 35 anni, riportano un carattere tipico del Fiano, elegante e profondo, con riconoscibili sentori fumé, di castagna, pietra focaia e una beva molto coinvolgente.
Un po’ più in alto, a 530 metri di altitudine c’è la vigna Clos d’Aut, l’altro piccolissimo cru entrato in produzione nel 2013: un grande successo segnato a sua volta dall’autenticità delle persone e dalla capacità di lasciare esprimere il terroir. “Vigna chiusa” il suo significato in italiano, dalla vegetazione dei boschi e dal muro di confine. Il suolo sciolto è caratterizzato dalla presenza in superficie di ceneri vulcaniche spinte fin qui dalla furia del Vesuvio secoli addietro. Un gioiellino di eleganza e finezza condotto con maestria sul portamento fiero e deciso del Fiano di Avellino.
Oggi i Fiano di Villa Diamante sono anche una storia di donne, forse un po’ troppo timide e silenziose: manca l’esuberanza di Antoine a mettere carburante nel motore anche se i vini non hanno ceduto un passo e in qualsiasi occasione si fanno ben notare.