di Patrizia Pittia
Premessa
Prima di conoscere i vitigni resistenti bisogna ricordare che un vigneto, prima di diventare produttivo, impiega due tre anni. Ma, basta una malattia come la peronospora, l’oidio, il marciume per compromettere investimenti e lavoro. Per scongiurare questo rischio, una percentuale (per fortuna!) in costante diminuzione di produttori ricorre ai pesticidi: nell’Unione Europea il 65% di tutti i fungicidi impiegati in agricoltura riguarda il 3% della superficie agricola, quella coltivata a vite 68 mila tonnellate l’anno. E’ stato quindi necessario trovare una strada alternativa capace di salvaguardare il prodotto, la salute e l’ambiente.
Le ricerche
Gli studi sono iniziati una quarantina di anni fa a Friburgo in Germania, poi in Svizzera, in Austria e da noi, presso la fondazione Mach, in Alto Adige. L’Università di Udine, tramite l’azienda agraria sperimentale “Antonio Servadei”, nel 1998 è partita con il progetto finalizzato a ridurre l’uso di pesticidi in collaborazione con Vivai Cooperativa di Rauscedo, la Regione Friuli Venezia Giulia, il Consorzio del Collio e i produttori Livio Felluga, Marco Felluga, Venica & Venica, Le Vigne di Zamò.
PIWI (Vitigni resistenti a funghi, peronospera, oidio, ecc.)
Piwi è l’acronimo di un termine tedesco Pilzwiderstandfahige che significa “vitigni resistenti ai funghi, ma anche alla peronospora, all’oidio, al marciume e al freddo. La tecniche per ottenere i PIWI è l’ibridazione del DNA della vite attraverso l’impollinazione e la selezione del patrimonio genetico. Non si adoperano OGM. Il 95% proviene da Vitis Vinifera, il rimanente da quella Americana o Asiatica. Utilizzare i vitigni resistenti vuol dire maggiore riduzione di trattamenti fitosanitari del 70%, minor costo e utilizzo di acqua, meno emissioni di CO2, riduzione del consumo di energia e minor inquinamento del suolo.
Istituto di Genomica Applicata – Università di Udine
Nasce nel 2006, per iniziativa di un gruppo di ricercatori dell’Università di Udine con competenze nel campo della genomica, della bioinformatica e del miglioramento genetico, un progetto Italo-Francese assieme al centro Genoscope di Parigi. La mission? Lavorare al sequenziamento dell’intero patrimonio genetico, il genoma della vite. Il risultato viene raggiunto nel 2007, portando il Friuli Venezia Giulia ai più alti livelli della ricerca scientifica mondiale. Il risultato è la prima versione della sequenza (la decodificazione di 500 milioni di basi del Dna della vite), pubblicato sulla rivista scientifica inglese Nature.
La ricerca ha posto le basi per la creazione di nuove varietà di vitigni resistenti alle malattie, senza bisogno di pesticidi, mantenendo alta la qualità dei mosti. Fino ad allora i tentativi di risolvere il problema erano confinati nelle tecniche tradizionali, senza garantire la qualità dell’uva in tempi ragionevoli. Si rendevano necessarie varie generazioni di re-incrocio prima di arrivare alla produzione di uve di qualità. Tutto questo ha permesso di capire i meccanismi con cui le viti americane, più resistenti delle nostre, si difendono dai patogeni. E’ stato quindi possibile incrociare i migliori ibridi, frutto di incroci con vitigni di pregio, il tutto in tempi infinitamente più brevi rispetto alle tecniche precedenti.
Come nascono i vitigni resistenti
All’Università di Udine, i laboratori dell’Istituto di Genomica sono dotati di macchine di sequenziamento tradizionale e macchine di seconda generazione, di un centro di biologia computazionale con macchine per il calcolo parallelo per lo stoccaggio dei dati, algoritmi e software per l’analisi strutturale e funzionale di sequenze di DNA. Lo staff è composto da 25 ricercatori.
Prima viene studiato il genoma della vite per individuare i geni che controllano i caratteri di resistenza alle malattie, poi vengono incrociati con i cosiddetti “genitori noti”, cioè le varietà tradizionali (Sauvignon, Merlot, Cabernet) a varietà che portano geni di resistenza. Da qui si spiegano i nomi dei 14 vitigni che richiamano, ma solo in parte le varietà già note. La fase sperimentale ha portato ad ottenere un numero altissimo di varianti: decine di migliaia di piante valutate frutto di oltre 500 micro-vinificazioni ripetute negli anni.
Di seguito l’elenco dei vitigni PIWI iscritti nel Registro Nazionale delle varietà di vite:
Fleurtai, Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos, Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Merlot Khorus, Merlot Kanthus, Julius, Voltumis, Pinot Kors, Pinot Iskra, Kersus.
Gli obiettivi raggiunti dalla ricerca in Friuli
Sono 14 i vitigni resistenti iscritti dell’Istituto di Genomica di Udine (10 nel 2015 e 4 nel 2020). Finora è consentita solamente la denominazione IGT- IGP. I viticoltori della regione Friuli Venezia Giulia hanno messo a dimora 232 ettari di viti resistenti e le richieste sono in aumento.
Ovviamente i vini che nascono da questi vitigni sono stati assaggiati in più occasioni. Le impressioni sono positive: profumi intensi, persistenze buone, piacevolezza, carattere, di sicuro non risultano banali.
Ad oggi, in Italia si coltivano 722 ettari di vitigni PIWI; una percentuale molto minima: 0,11%.
Fra l’altro, i Vivai della Cooperativa di Rauscedo stanno esaminando diversi vitigni autoctoni: il Glera da cui si produce il Prosecco, e anche i viticoltori della Sicilia si stanno muovendo nell’ambito dei loro vitigni autoctoni.
Per avere notizie degli sviluppi del lavoro che riguarda la Sicilia chiediamo a Daniele Cecon dei Vivai di Rauscedo a che punto sono le ricerche:
“I Vivai di Rauscedo – spiega Cecon – hanno un rapporto di collaborazione ultra trentennale con diversi produttori siciliani, i quali ovviamente non devono affrontare le stesse problematiche del nord Italia: possono avvantaggiarsi dei trattamenti di fitofarmaci molto ridotti ma mostrano ugualmente un occhio di riguardo all’ecosostenibilità dell’ambiente. In virtù di tutto questo, Enti Pubblici e Aziende Private interessate all’argomento hanno chiesto la nostra collaborazione. Fra l’altro, abbiamo lavorato – su richiesta diretta di alcuni produttori – a un programma quinquennale relativo all’ibridazione di alcune varietà autoctone siciliane: Grecanico, Catarratto, Zibibbo, Grillo, Inzolia, Nerello Cappuccio. Avremo a disposizione le prime barbatelle di queste varietà nel biennio 2023-2025. Siamo invece leggermente in ritardo, rispetto al piano di lavoro, con le altre due varietà importanti, il Nero d’Avola e il Nerello Mascalese. Devo dire però che al momento nessun ente nazionale o nemmeno la Regione Sicilia hanno interesse a lavorare sulle varietà siciliane”.
Il futuro dei vitigni resistenti
Si punta a differenziare il prodotto anche per le basi spumante o per vini da invecchiamento, da dessert e uve da tavola. Il mondo dei Piwi è un mercato sempre in evoluzione, apre grandi possibilità legate al green, perché la gente oggi vuol bere “bene e sano”.
Da segnalare l’esistenza dell’Associazione Piwi International, nata in Svizzera nel 1999, un gruppo di lavoro transnazionale che mette in contatto diretto i produttori interessati con vivaisti ed istituti di ricerca, aiutandoli ad ottenere tutte le informazioni utili ad individuare le varietà resistenti più adatte alle caratteristiche regionali tra quelle già inserite nei registri nazionali. Ogni anno si svolge l International Piwi Wine Award che premia vini provenienti esclusivamente da vitigni resistenti.
In conclusione …
La strada è ancora lunga, per l’esatta comprensione di tutte le sfumature e del reale impatto ambientale dei vini da vitigni Piwi, ma bisogna essere completamente liberi da preconcetti e pregiudizi!
(Ringraziamenti per la collaborazione: dottor Claudio Fabbro, dottor Paolo Sivilotti, dottor Gabriele Di Gaspero e Daniele Cecon dei VCR Rauscedo)