(wpt) Dopo un anno di malattia, si è spento Roberto Felluga, storico vignaiolo del Collio, alla guida delle Aziende Marco Felluga e Russiz Superiore fondate dal padre, due storiche realtà vinicole regionali conosciute in Italia e apprezzate in tutto il mondo. Roberto aveva 63 anni e negli anni aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente del consorzio Collio e di presidente della sezione economica viticoltura di Confagricoltura Fvg. Grazie a Roberto, si è consolidato il progetto dei vini bianchi “da invecchiamento”, avviato con il Collio Bianco Col Disôre Russiz Superiore e con il Collio Bianco Molamatta Marco Felluga e proseguito con le “Riserve”: il Pinot Grigio Mongris Riserva Marco Felluga, il Pinot Bianco Riserva Russiz Superiore e il Sauvignon Riserva Russiz Superiore. Alla famiglia e in particolare alla figlia unica Ilaria, le condoglianze di tutti noi di WiningPress.
Ci piace ricordare Roberto Felluga attraverso un’intervista rilasciata nel luglio 2016 al nostro sito.
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di Patrizia Pittia
Non può che essere emozionante intervistare Roberto Felluga, figlio di Marco e nipote di Livio. Lui, Roberto, fa parte di una famiglia importante, una dinastia di viticoltori protagonista nel Collio. L’appuntamento è alle 10 del mattino nella tenuta di famiglia Russiz Superiore, a Capriva del Friuli. Premetto Roberto mi ha sempre colpito per la sua personalità e per quel suo proporsi serio, signorile e garbato. Sguardo vivace attraverso gli occhiali e barba brizzolata che gli conferisce una certa autorevolezza. Per l’intervista si decide di passare al “tu”, grazie anche all’ambiente reso caldo e più amichevole dal focolare acceso.
Cominciamo dalla tua infanzia: che bambino eri e cosa di quel bambino è rimasto in te?
“Sono un po’ sorpreso. E’ la prima volta che mi fanno questa domanda e i ricordi mi portano lontano nel tempo. Ero un bambino sicuramente vivace, irrequieto e i miei genitori erano molto impegnati nel tenermi a freno. Mi piaceva uscire dalle regole, ero un gran sognatore e lo sono tutt’ora: mi piace spaziare, con la caparbietà e la volontà a volte i sogni si realizzano”.
Sei la quinta generazione di una famiglia importante, cresciuto tra le vigne: è stato inevitabile diventare il viticoltore o volevi fare altro?
“Nessun condizionamento da parte di mio padre, visto che sono l’unico figlio maschio di tre fratelli. Vivendo all’ombra di mio padre, è stato naturale un passaggio del testimone. Se non avessi fatto questo mestiere, mi sarebbe piaciuto fare l’architetto”.
Papà Marco è stato un padre affettuoso. Qual è stata la difficoltà maggiore che hai dovuto affrontare sia come suo figlio sia nel portare un cognome così importante nel mondo del vino?
“Mio padre è stato molto presente nella mia vita, ma era affettuoso a modo suo. Mio papà è figlio di una generazione in cui gli affetti non venivano manifestati apertamente. Nel tempo mi ha trasmesso valori veri e l’importanza del duro lavoro. Per questo lo ringrazio. Il confronto con un padre così carismatico non è stato facile: all’inizio c’erano delle aspettative, poi solo l’esperienza ti dà la consapevolezza e la sicurezza nell’agire. Perciò pretendeva molto di più dal figlio – cioè da me – che dai collaboratori, e ho dovuto sudare le proverbiali sette camice. Con il tempo è venuta fuori la mia personalità anche con dei confronti molto accesi con lui. Alla fine ho ottenuto risultati positivi da parte del mercato internazionale conquistando la sua fiducia. Oggi sono felice del nostro bellissimo rapporto”.
Un sorriso accende il volto di Roberto mentre mi racconta un aneddoto: “Mio padre mi ha sempre insegnato il senso del dovere e del lavoro, ma capita che, a volte quando manca il quarto giocatore a carte, anche a metà pomeriggio, chieda la mia disponibilità. Il mio rapporto con lui è mutato con il trascorrere degli anni, come sono cambiati, in fondo, anche sua la prospettiva e la percezione del tempo”.
Tuo padre, di origine istriana, ha fondato l’azienda Marco Felluga a Gradisca d’Isonzo nel 1956. Avete festeggiato (nel 2016, ndr) i 60 anni di attività. In questo periodo com’è cambiata la viticoltura in Friuli Venezia Giulia? Quali le prospettive?
“La famiglia di mio padre ha iniziato a fare vino all’Isola d’Istria, producendo Refosco e Malvasia. Mio nonno Giovanni ebbe una lungimirante intuizione: fra le due guerre decise di allargare il mercato al Friuli e al Veneto e nel 1924 aprì un deposito a Grado, successivamente nel 1938 una cantina a Gradisca d’Isonzo, avendo capito le potenzialità del territorio, delle vigne e la qualità delle uve del Friuli Venezia Giulia. Dopo la seconda guerra mondiale la famiglia perse tutto in Istria e l’attività è continuata in territorio italiano”.
Continua Roberto: “La data importante è il 1956 quando i due fratelli Marco e Livio si dividono: Marco rimane a Gradisca dove fonda la omonima Marco Felluga. Nel 1967, l’altro investimento importante per la tenuta di Russiz Superiore sul Collio. Così, oggi sono a capo di queste due importanti aziende. Negli ultimi 60 anni la viticoltura è cambiata moltissimo. La qualità è migliorata parecchio anche se ci sono diversi aspetti da considerare. Fra i viticoltori esiste un divario fra chi pensa ovviamente al profitto e fa il vino con passione e chi invece pensa solamente al profitto. Nella nostra regione un vitigno come il Prosecco ha sistemato i bilanci di alcune aziende, ma è chiaro che abbiamo perso un po’ della nostra identità. Le Doc storiche come il Collio e la recente Doc Friuli Venezia Giulia ci danno la possibilità di affermare le nostre varietà, valorizzando le varietà autoctone anche se da noi abbiamo tanti vitigni che potremo a pieno titolo considerare autoctoni: Pinot bianco, Pinot grigio, Sauvignon, Merlot da più di 150 anni, sono oramai biotipi esclusivamente friulani”.
Meglio i vini da vitigni autoctoni o dagli internazionali?
“Il mio pensiero? Meglio un vino buono che sia eco sostenibile. In questo modo ci può stare un buon Friulano o una buona Ribolla Gialla ma anche un buon Sauvignon o un buon Pinot Grigio. Dobbiamo cercare di valorizzare la nostra storia. Li chiamerei vitigni tipici friulani! Non vorrei che il successo di una singola varietà di moda, tipica qui da noi, fosse replicato in altre regioni. Arriveremo presto alla Docg Collio. Perciò stiamo provando a valorizzare alcune sottozone per far risaltare non solamente il vitigno, ma anche i cru dove i vini vengono prodotti.”
Vino da agricoltura biologica o tradizionale?
“E’ un tema di grande attualità. Io penso ci sia molto marketing e molta sostanza sulla comunicazione dei vini ecosostenibili. Mi auguro che i produttori siano davvero consapevoli che salvaguardare la natura significa preservare il nostro futuro “colturale e culturale”. Per quanto riguarda le mie aziende, una parte di vigneti è a coltura biologica e in un’altra parte facciamo lotta integrata. E’ un settore in grande evoluzione: ogni sei mesi ci sono delle novità. Stiamo verificando nuove ipotesi e mi auguro entro breve di fare un ulteriore passo verso il minore impatto ambientale”.
Il Collio è l’habitat dei vostri vigneti. Per quale motivo hai scelto di vivere a Russiz Superiore? Progetti futuri?
“Mi piace tantissimo vivere in campagna. Per lavoro sono spesso all’estero e al rientro è questo, a Russiz Superiore, il posto che io amo per rilassarmi: è la mia oasi felice. Poi, vivere in azienda mi mette a contatto con i miei collaboratori. Grazie alla lungimiranza degli amministratori locali non ci sono insediamenti industriali e artigianali, così posso godere di un bell’equilibrio fra vigne, boschi e seminativi. Fiore all’occhiello il nostro Relais dove si può trascorrere un week end immersi nella natura. Progetti futuri? Il nostro mercato di riferimento rimane sempre l’Italia, ma dobbiamo mantenere alta la qualità dei nostri vini”.
Le terre del Goriziano, dove si trovano i vostri vigneti, sono anche le terre che hanno visto la grande guerra. Vuoi fare una riflessione a questo proposito?
“Mi auguro che la politica sia lungimirante e che non ritorni sugli errori del passato. Questa è una terra di confine martoriata e ora si spera in una Europa Unita. Io non sono per le divisioni. Il modo di pensare di alcuni capi politici non è quello che poi ritroviamo sul territorio. Da noi lavorano molti collaboratori che vengono dalla Slovenia, dalla Croazia, dai Balcani e mi auguro che questa integrazione si mantenga e si rafforzi”.
Qual è il vino che senti più tuo, nel cuore?
“In tutti i miei vini c’è un po’ del mio cuore. Devono essere nelle mie corde, grazie anche ai miei collaboratori”.
Niente risposte diplomatiche: quale vino ti piace di più?
(Sorride…) “Se devo proprio fare un nome, dico Il Collio Bianco Col Disôre (toponimo di una collina del territorio di Russiz, ndr), un blend da uve Pinot Bianco, Friulano, Sauvignon, Ribolla Gialla: è forse il vino simbolo della nostra azienda”.
Sono d’accordo con Roberto, è il vino che gli assomiglia di più: avvolgente, elegante e signorile.
Parlami di tua figlia.
“Ilaria ha 22 anni (oggi 27, ndr), è una brava ragazza, ha vissuto per un bel po’ lontano da me, in Liguria con la mamma e ora la sua passione per il mondo del vino l’ha riavvicinata e vive con me. E’ stata sua la scelta di iscriversi alla Facoltà di Enologia a Udine”. (Mentre parla Roberto gli si illumina il viso, orgoglioso della scelta di Ilaria). Abbiamo un bel dialogo: affettuoso e ben motivato. Le premesse perché abbia un futuro luminoso ci sono, eccome!”.
Hai qualche sogno ancora nel cassetto?
“Hai ragione, di sogni ce ne sono tanti: riguardo la parte produttiva e aziendale vorrei cercare di migliorarla, affrontando con serenità le problematiche che ogni giorno dobbiamo risolvere. Uno dei miei sogni sarà quello ci accompagnare gradualmente mia figlia in questo bel mondo del vino: delicatamente, con serenità, senza pressioni, trasmettendogli la mia esperienza. Poi dovrà riuscire a prendere il volo da sola…”.