di Umberto Gambino
Felice Gasperini, classe 1952, è il rappresentante della terza generazione di una famiglia dedita alla viticoltura e alla produzione di vini. Titolare della Cantina Villafranca e dell’Azienda Agricola Colle Felice a Monteporzio Catone, è Presidente del Consorzio Tutela Vini a Denominazione Frascati dallo scorso giugno. Un compito gravoso e non facile alla guida di un territorio che produce vini carichi di storia, di ottima qualità ma che stentano però ad imporsi sui mercati locali. La zona di produzione dei vini Frascati (circa 7 milioni di bottiglie nel 2018) comprende i comuni di Frascati, Grottaferrata, Monte Porzio Catone e in parte quelli di Roma e Montecompatri.
Ecco il botta e risposta a tutto campo.
In che modo il Consorzio può contribuire a migliorare la qualità intrinseca dei vini Frascati?
Si sta facendo un gran lavoro attraverso i nuovi impianti di allevamento a filare con alto numero di ceppi per ettaro e con percentuali sempre maggiori di Malvasia puntinata del Lazio nell’uvaggio della tipologia Frascati Superiore DOCG. I risultati ci sono: basta vedere i tanti riconoscimenti per i nostri vini dalle guide e nei concorsi enologici. Nel disciplinare la resa per ettaro è fissata a 140 quintali/ettaro per la DOC e a 110 quintali/ettaro per la DOCG. Tre anni fa diversi produttori avevano già attuato spontaneamente un’ulteriore diminuzione della resa. In realtà la produzione media si aggira sui 120 quintali per ettaro, ma alcune cantine lavorano su rese ancora più basse per incrementare la qualità dei vini finali.
Nei suoi primi sei mesi di mandato sono state avanzate proposte di modifica del disciplinare?
Non ancora, ma ci sta lavorando sopra una commissione tecnica. L’ultimo consiglio di amministrazione ha dato il via ad una sperimentazione che durerà almeno sei anni, guidata dall’ARSIAL e in collaborazione con i Vivai Rauscedo, su vitigni di Malvasia puntinata resistenti alle malattie. Si parte dal polline, passando per il seme, per un certo numero di barbatelle e su cloni diversi. Il costo – 300 mila euro – è interamente a carico dell’ARSIAL. Superata la fase di laboratorio, si passerà a impiantare in vigna i vitigni resistenti e poi alle microvinificazioni per capire la qualità del risultato ottenuto. Tuttavia la Malvasia di Candia non è da penalizzare anche se la Malvasia puntinata ha una marcia in più.
Come Consorzio, non avete pensato a un censimento della quantità effettiva e della diffusione dei singoli vitigni nel territorio del Frascati?
Esistono i registri aziendali e andrebbero visionati. Indubbiamente è un’iniziativa interessante, tecnicamente possibile, per capire percentuali e distribuzione dei singoli vitigni in tutto il territorio. E’ certo che i nuovi impianti sono quasi tutti di Malvasia del Lazio e non di Candia: siamo 50 e 50 più o meno per le Malvasie.
Siete al corrente dell’utilizzo di vitigni internazionali per un 4,5% della composizione (senza dichiarare), da parte di alcuni produttori?
Il Consorzio serve a controllare che non vengano utilizzati vitigni non autorizzati dal disciplinare. Se qualche produttore inserisce nel blend internazionali come Sauvignon o Chardonnay – che sono autorizzati alla coltivazione nella regione Lazio – lo può fare benissimo purché entro le percentuali consentite.
Come funzionano le cooperative nel territorio? Tanta quantità o ci sono eccellenze?
Gotto d’Oro è un punto di riferimento anche per la qualità mentre la Cantina Sociale di Monte Porzio ha chiuso i battenti. Esistono cooperative di produttori come la Tusculum produttrice di vini con marchio Vitus che ritengo un progetto valido. Quando più aziende, più produttori, più cooperative parlano del nostro vino e lo propongono sui mercati, il risultato sarà maggiore. Il progetto Vitus prevede che una parte della produzione venga destinata a commercializzazione dei vini con marchio della cooperativa stessa; un’altra parte della produzione è conferita alle grosse aziende. Vitus imbottiglia presso Villa Simone.
Come si spiega il continuo ricambio di aziende nel territorio? Disaffezione, mancanza di motivazioni o di ricambio generazionale?
Produrre vino è attività molto impegnativa, devi avere una forte passione. Da noi il ricambio generazionale non è avvenuto o stenta parecchio. Molti viticoltori hanno abbandonato i vigneti e il territorio del Frascati negli anni si è contratto: in quarant’anni siamo passati da 2.000 a 1.000 ettari vitati. C’è chi ha chiuso e ha messo in vendita gli impianti.
Quanto pesa il biologico per il vigneto Frascati?
Solo una piccola quota intorno al 5% della produzione. Molto poco rispetto ad altre zone d’Italia. Dipende anche dal fatto che chi conferisce l’uva punta più alla remunerazione e non intende seguire gli obblighi dettati dalla viticoltura biologica.
Qual è il rapporto con la DOC Roma? Non c’è il rischio di pestarsi i piedi nello stesso territorio?
La DOC Roma fa ancora piccoli numeri nonostante un territorio più esteso. Abbiamo un rapporto di collaborazione: basti pensare che la sede è ospitata a Frascati, nei nostri uffici del Consorzio. Nessuna conflittualità perché le fasce di mercato per i vini sono diversi. Anch’io imbottiglio DOC Roma.
Qual è oggi il valore economico del vino a marchio Frascati in rapporto agli altri vini bianchi italiani?
Per il marchio in sé credo che ancora oggi il Frascati sia il vino bianco italiano più conosciuto al mondo da operatori e consumatori. Ci collochiamo fra i primi 20 posti…
Però il Frascati Superiore non riesce a spuntare prezzi significativi nelle enoteche…
E’ vero, questo non ci aiuta. Ma la qualità del Frascati non è seconda a nessun altro vino bianco italiano. Purtroppo, scontiamo un’immagine vecchia, nonostante la denominazione – datata 1966 – sia una delle prime d’Italia. Come tutte le cose anche il Frascati segue una parabola: sono arrivati negli anni altri vini che oggi hanno più appeal rispetto al Frascati. Dobbiamo puntare a migliorare la nostra immagine, tornando di moda. Come una volta…
Insomma, il successo dei vini Frascati è solo un problema di moda, di tendenze?
Certamente. E torneremo di moda.
Quali, secondo lei, i vini bianchi sono “di moda” oggi?
Il Lugana e il Pecorino. Ma, senza nulla togliere a questi, ripeto: non sono superiori ai nostri Frascati… Così come il Verdicchio che ha avuto una storia simile alla nostra: un vino storico, oggi un po’ declino. Così come i bianchi campani – Fiano, Greco di Tufo e Falanghina – in auge una decina di anni fa. Oggi un po’ meno. E’ questione di flussi e di gusti, imprevedibili.
Quanto vende il Frascati all’estero?
L’export tocca il 50%. I mercati principali sono il Regno Unito, i Paesi del Nord Europa, la Germania, l’Austria. Un po’ meno gli Stati Uniti. Non abbiamo però dati aggiornati sulle percentuali. In Cina siamo penalizzati perché si bevono in prevalenza vini rossi.
Perché il Consorzio del Frascati non ha una figura essenziale negli altri Consorzi come il Direttore Generale, che poi è il vero motore?
Costa troppo e non abbiamo risorse sufficienti nel budget. E in CdA nessuno lo ha chiesto.
Avete un grosso problema, storico, quasi insormontabile: la maggior parte dei ristoratori romani non propongono in carta i vini Frascati. Come pensate di risolvere?
Ne sono pienamente consapevole e per questo ho incontrato l’assessore comunale al Turismo e alle Attività Produttive Carlo Cafarotti per concretizzare una serie di iniziative a 360 gradi. Una di queste prevede di assegnare un bollino di qualità a quei ristoratori che rispondano a determinate caratteristiche, quali l’utilizzo di prodotti del territorio laziale, cibi e vini a chilometro zero. Ho una speranza però: vedo positivamente e con soddisfazione che le nuove generazioni di ristoratori apprezzano e valorizzano i nostri vini. Il problema di fondo è che la ristorazione romana non è in gran parte romana.
E con le enoteche…
Sono sconfortato! Purtroppo a Roma non propongono il Frascati. Come se avessero una sorta di reticenza.
Riuscite a collaborare con le associazioni dei sommelier?
Non riusciamo ad avere una sorta di corsia preferenziale per i nostri vini con le delegazioni locali della sommellerie, ma vorrei che si collaborasse. Ho chiesto in via informale a tutte le associazioni dei sommelier di fornirci i nomi di due soci che fungano da punto di riferimento e collegamento con il Consorzio, in modo da aggiornarli sulle nostre iniziative. Ma, al momento, nessuna ci ha risposto. A questo punto, vedrò di preparare una lettera ufficiale …
Come pensate di gestire la comunicazione del Frascati, dopo che è scaduto il contratto con la responsabile delle PR? Cosa avete in cantiere per promuovere i vini Frascati in Italia e nel mondo?
Siamo in un periodo di pesanti ristrettezze e non possiamo incaricare un nuovo responsabile della comunicazione. Abbiamo un budget di 140.000 euro da destinare ad attività di promozione e comunicazione del Consorzio. Ma abbiamo già molti impegni. Prima dobbiamo verificare i conti e mettere il Consorzio in sicurezza. La Regione Lazio ci ha dato delle sovvenzioni. Abbiamo un PSR (Programma di Sviluppo Rurale Lazio-Europa) che scade nel giugno 2020. Ma prima dobbiamo investire per poi ottenere un nuovo finanziamento regionale. Una buona fetta di spesa prevista dal PSR – 50 mila euro – è destinata alla partecipazione al prossimo ProWein di Dusseldorf: per la prima volta parteciperemo come Consorzio nel padiglione della DESA, la Deutscheland SommelierAssociaztion: hanno aderito 7 aziende. Esaurito il PSR penseremo a formalizzare una domanda per gli OCM promozione.
Ma la novità grossa è un’altra. Il Consorzio organizzerà, per la prima volta, un’Anteprima dei vini Frascati, in una location prestigiosa di Roma, ancora da stabilire. Pensavamo di organizzarla prima del ProWein, nel periodo fine febbraio inizio marzo. Sarà un evento aperto al pubblico e con i giornalisti invitati. Tutto concentrato in un giorno solo.