di Rossella Tanzola
Il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni è la patria della Dieta Mediterranea. Per chi lo avesse visitato almeno una volta nella vita, lo ricorderà certamente come un luogo ideale in cui trascorrere le proprie vacanze: un habitat tranquillo e accogliente, lontano dal caos quotidiano. E’ stato riconosciuto nel 1998 Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco. Per chi ancora non lo conoscesse, vogliamo proporvi un ideale tour enogastronomico che vi condurrà alla scoperta dei prodotti e dei piatti tipici locali.
La pizza cilentana ai grani antichi assume nomenclature diverse nei vari comuni del territorio: pizzidda, rianata, ammaccata. Viene preparata prima di infornare il pane – con lo stesso impasto – per testare la temperatura del forno a legna. La stesura avviene con delicatezza e in modo lento e la pasta deve essere più spessa per evitare rotture. Condita con pomodoro, olio extravergine di oliva e cacioricotta di capra è pronta per essere servita e gustata. Questo rito rappresenta un momento di condivisione e di convivialità in grado di riunire le famiglie in un giorno di riposo. La giornata si conclude con la realizzazione del pane biscottato cilentano (“i vescuotti”) in cui i filoni di pane – una volti cotti – vengono tagliati con precisione, rimessi nel forno mentre sono ancora caldi e lasciati biscottare per due giorni. Il protagonista della foto copertina è Cristian Santomauro, promotore dell’antica pizza cilentana e fondatore del progetto l’ammaccata, che da febbraio 2020 rientra nell’Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali.
“Impara a cucinare, prova nuove ricette, impara dai tuoi errori, non avere paura, ma soprattutto divertiti”. Julia Child
I triiddi sono un particolare tipo di pasta, caratteristici di Rofrano, un paesino interno del Cilento. Si tratta di un piatto povero della tradizione contadina, a base di farina di castagne (un ingrediente che aiutava a renderlo più corposo e nutriente durante tempi difficili, in cui il grano scarseggiava), a cui viene abbinata la polvere di peperone crusco. Questi ultimi sono una tipologia di peperoni rossi dolci che vengono essiccati e poi fritti nell’olio per pochi secondi, durante i quali diventano cruschi, cioè croccanti. In passato questa pasta veniva realizzata schiacciando corti tocchetti con tre dita. L’origine del nome deriverebbe dall’arabo Itriyah, termine che indica vari tipi di manufatti di pasta presenti in età bizantina. L’espressione e l’interpretazione di questo prodotto è l’Azienda Agricola Biohope, una tenuta che coltiva rispettando i canoni dell’agricoltura biologica, con sede in Rofrano.
La mozzarella co’ a mortedda o int’a’ murtedda è un formaggio tipico della zona centrale del Cilento. A conferire qualità al formaggio contribuiscono la macchia mediterranea e il pascolo degli animali in collina. Si chiama mozzarella ma in realtà è un caciocavallo e il nome deriva dal fatto che in passato veniva avvolto nelle foglie di mirto per mantenerlo fresco e assicurarne la fragranza. Questa pianta ha le foglie lisce e non porose, perfetta per confezionare il formaggio fresco. Conferisce aromi e profumi molto particolari, non a caso è utilizzata anche per la preparazione di un digestivo: il liquore di mirto. In passato si vendevano i cosiddetti “mazzi di mozzarelle”: dentro ogni mazzo (di circa 100 grammi) c’erano dieci lingue di formaggio. Non si presta ai classici usi gastronomici ma si sposa benissimo negli antipasti locali. La preziosità del prodotto lo ha reso un Presidio Slow Food per sostenere e preservare il lavoro dei pochi produttori artigianali che ancora trasformano il latte vaccino intero e crudo. Situata nel cuore del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, l’Azienda Agricola Starze, tra le rive dei fiumi Badolato e Fiumarella è immersa in una natura incontaminata e si occupa della produzione di prodotti tipici locali proprio come la mozzarella co’ a mortedda che vedete in foto.
La soppressata di Gioi è un salame insaccato che trae le sue origini nell’XI secolo. Il nome deriva dal piccolo borgo di Gioi, un paese interno del Cilento dedito alla sua produzione, come Gioi srl, Piccolo Salumificio Artigianale. È un antico Presidio Slow Food realizzato con la farcia magra del prosciutto e un filetto di lardo centrale. Il prodotto si presenta con una stagionatura di almeno quaranta giorni, la carne suina viene modellata e condita con sale marino artigianale e pepe nero in grani. Non contiene conservanti. La soppressata di Gioi è stata premiata nella categoria “a punta di coltello” all’interno della guida dei salumi d’Italia edita dall’Espresso.
L’olio extravergine d’oliva DOP (Denominazione di Origine Protetta) si ottiene dalla premitura delle olive, le cui varietà sono innumerevoli in Cilento: Pisciottana, Rotondella, Ogliarola, Frantoio, Salella e Leccino per almeno l’ 85%; possono, inoltre, concorrere altre specie locali presenti nell’area di produzione in misura non superiore al 15%. La raccolta delle olive è un evento che coinvolge tutta la comunità e rappresenta una fonte di ricchezza per la famiglia. Gli alberi sono secolari e spesso ereditati da intere generazioni. Le olive ammaccate o schiacchiate rappresentano una delle pratiche più antiche del Cilento. La salella è una varietà diffusa tra i comuni di Santa Maria di Castellabate fino a Casal Velino, Rutino e Castel Nuovo Cilento. Riconosciuta come Presidio Slow Food è l’ideale per questa preparazione. Vengono scelte tra i rami le olive sane e ancora acerbe e mediante l’ausilio di una pietra di mare, il nocciolo viene separato dalla polpa. Il verde cupo delle foglie dell’olivo e il blu del mare sono i colori dominanti della costiera cilentana. Possono essere impiegate in ogni portata, affiancare secondi o arricchire straordinarie insalate.
Il maracuoccio è un antico legume coltivato a Lentiscosa, una frazione collinare del comune di Camerota. L’etimologia del nome indica un baccello amaro. È uno di quei rari prodotti che non supera i cinque quintali di produzione. La sua presenza come leguminosa selvatica è attestata nel paesi del bacino Mediterraneo, ma anche nel Caucaso e in Asia Centrale. In passato è stato coltivato come alimento per il bestiame, ma anche come fonte proteica per le popolazioni più povere. Oggi alcune famiglie di Lentiscosa continuano a produrlo secondo la tradizione: nel mese di Ottobre/Novembre preparano il terreno, a Gennaio/Marzo avviene la semina, la raccolta alla fine di Giugno, quando i piccoli baccelli raggiungono la completa essiccazione e sono pronti per essere battuti. È un Presidio Slow Food legato a una preparazione tradizionale locale: la maracucciata, una polenta ottenuta facendo cuocere una farina composta per metà da maracuoccio e per l’altra metà da grano, ceci, farro, favino e cicerchie. Il tutto arricchito con olio extravergine, crostini di pane, cipolla, aglio e peperoncino.
L’aglianicone è un vitigno autoctono a bacca nera diffuso in Cilento. È il progenitore dell’Aglianico, come la Cannamela Ischitana. Dà origine a un vino elegante, dal colore violaceo e dal profumo intenso. Ha una discreta fertilità delle gemme con fenomeni di acinellatura del grappolo a volte marcati, uno dei fenomeni che ha portato al suo abbandono. All’olfatto si percepiscono i sentori di fragoline di bosco, more e mirtilli, tutto contornato da tocchi di prugna, per poi riconoscerne l’essenza di chiodi di garofano, pepe nero e liquirizia. È un vitigno recuperato e coltivato in Cilento, una vasta area che presenta microclimi e biotipi diversi. Nel comune di Postiglione il produttore Ciro Macellaro ha impiantato i primi vigneti nel 2010 ed è il fondatore di “Terre dell’Aglianicone”, un’associazione che riunisce tutti i produttori di Aglianicone con l’intento di perpetrare nel tempo la forza di questo vitigno, che seppur impegnativo, è storico e prezioso. Ad oggi si contano più di trenta ettari vitati. È stato inserito nella base ampelografica della DOC Castel San Lorenzo e in collaborazione con l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e l’Università della Basilicata è stato avviato uno studio di ricerca del vitigno e dell’ambiente. L’associazione sta lavorando a contatto con organi competenti quali il Consorzio e la Regione Campania per inserire l’Aglianicone nella DOP Cilento e nella IGP Paestum.
Il fico bianco del Cilento è un prodotto ortofrutticolo italiano della varietà Cultivar Dottato, presente anche in Calabria e in Sicilia ma con proprietà e profumi diversi. Ciò che rende questo frutto unico è la lavorazione dell’uomo con l’insieme delle tradizioni che si sono tramandate negli anni. I fichi coltivati nel Cilento vengono essiccati al sole per poi essere “impaccati”, ossia farciti con noci, mandorle, cannella e bucce di limone o arancia. La lavorazione dei fichi secchi nasce a Prignano Cilento, la terra dei fichi e che li ha resi un Presidio Slow Food grazie allo sviluppo di una tecnica particolare: i produttori sbucciano i fichi subito dopo la raccolta, (per questo i frutti sono detti monnati, ovvero mondati, puliti nel dialetto locale) poi li fanno essiccare al sole su graticci di canne e infine vengono presentati nella foto che vedete qui di seguito. Santomiele nasce nel 1930 come azienda agricola specializzata nella lavorazione dei fichi ed è una realtà esclusiva del territorio cilentano perchè lo rappresenta nella forma più pura e autentica. In pochi anni ha rivoluzionato il mondo dei fichi imponendo una filosofia e costruendo un marchio oggi conosciuto in tutto il mondo, tanto da giungere anche sulla tavola della Regina Elisabetta d’Inghilterra.