(U.G.) Se un’azienda vinicola decide di inserire nel suo nome commerciale il termine “Casa” è perché “fare vino” è un affare di famiglia che deriva da radici solide. “Casa Setaro” si trova nel territorio di Trecase, nel Napoletano, ma soprattutto nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio, dal 1995 sito Unesco.
La cantina, costruita sotto la casa familiare, si giova di temperatura e umidità perfette per la vinificazione proprio perché ricavata sotto la roccia vulcanica formatasi dopo l’ultima grande eruzione del Vesuvio.
Vigneti per 12 ettari estesi su territorio vulcanico, a diverse altitudini, coltivati in regime biologico.
Azienda giovane, nata nel 2005, Massimo Setaro, insieme alla moglie Maria Rosaria, ha deciso fin da subito per la sostenibilità integrale dell’agricoltura in vigna.
Ha avuto gioco facile puntando esclusivamente sui vitigni autoctoni vesuviani, alcuni dei quali crescono ancora su viti a piede franco. Aglianico, Falanghina, Lacryna Christi e Piedirosso le varietà più coltivate.
Qui, però, mi piace soffermarmi sul Caprettone, un tipo di uva autoctona che cresce solo sulle fertili terre vesuviane. In passato veniva confusa con Il Coda di Volpe. Diverse le interpretazioni sull’origine del nome: chi lo riconduce alla curiosa forma del grappolo che ricorda la barbetta della capra; altri pensano alla collocazione delle vigne che dal vulcano guardano l’isola di Capri: perciò Caprettone, per decenni “fuori legge”, riconosciuta ufficialmente nel registro nazionale delle varietà della vite come vitigno da vino solo nel 2014.
In realtà, una decina di anni fa il Caprettone rischiava di scomparire: pochi lo coltivavano preferendogli la più produttiva Falanghina insieme alla quale di solito veniva vinificato.
Il tenace Massimo Setaro si è spinto oltre. Non solo ha vinificato il Caprettone in versione secca (vedi etichette Aryete e Munazei), ottenendo bianchi decisamente sapidi e di spiccata foggia minerale, ma ha deciso – dopo numerose prove – persino di spumantizzarlo. E il risultato è notevole.
Il Caprettone da cui nasce Pietrafumante (nome evocativo del Vesuvio), metodo classico, proviene da vigne a piede franco, molte prephyllossera, a 350 metri slm, nella zona Alto Tirone, che vengono replicate con il metodo della propaggine (consiste nell’interrare un tralcio sano di una vite madre in modo tale che dalle nuove radici possa nascere una nuova pianta).
Prodotte solo 600 bottiglie.
Pietrafumante Brut Nature 2016 è perciò il primo Metodo Classico millesimato prodotto da uve Caprettone in purezza, affinato sui lieviti per 48 mesi prima di uscire in commercio. La sboccatura avviene nel corso della primavera del terzo anno dalla vendemmia.
La provenienza dai terreni sabbiosi di queste uve è evidente subito, già dai profumi, poi al sorso si concretizza pienamente.
Di un giallo paglierino brillante, perlage molto sottile, il Pietrafumante offre un bel mix di profumi che vanno dai fiori di ginestra al cedro, dalla pesca bianca alla crosta di pane, per finire sui lieviti e su uno sfondo fumé che è il marker prettamente vulcanico dei suoli da cui provengono le uve. Il sorso è cremoso, sapido ma non troppo, di freschezza appuntita e nervosa, in cui ritorna armonica la vena minerale. Un metodo classico “profondo”, elegante che ci piace parecchio e che bevuto fra uno-due anni sarà di sicuro più avvincente.
Di Casa Setaro ho assaggiato altri quattro vini. I due bianchi sono altrettanti Caprettone con vinificazione e provenienza diverse.
Munazei Bianco – Lacryma Christi del Vesuvio Doc 2019
Da uve Caprettone a piede franco provenienti dalle vigne di Bosco del Monaco (250 m slm).
E’ il più “easy” ma non troppo. Affina in acciaio per 6 mesi e poi rimane altri due mesi in bottiglia.
E’ nitido, delineato nel suo profilo olfattivo, fra pesca, gelsomino e balsamicità di fondo con il suo sorso sapido, saporito, di buona freschezza e persistenza.
Aryete – Vesuvio Bianco Doc 2019
Da uve Caprettone a piede franco della vigna Tirone della Guardia (300 m slm).
E’ decisamente più “strong” e avvolgente già nei profumi.
Fermentazione in anfora e tonneaux e poi affinamento sempre in anfora e tonneaux per 6 mesi e altri 2 mesi in bottiglia.
Bouquet di cedro e ginestra, balsamicità spinta, affiorano anche mandorla e salvia. Poi è tanto sapido, salino, potente e nervoso in bocca, senza mai stancare il palato.
Fuocoallegro – Vesuvio Doc 2019
Piedirosso a piede franco dal vigneto Tirone della Guardia (300 m slm)
Affinamento in anfora e botti grandi di rovere per 12 mesi, poi altri 2 mesi in bottiglia.
Si apre delicato e netto, su tinte di frutti di bosco e pietra focaia. Al palato è rotondo, molto fresco, scorre bene su tannini fini. Equilibrato e non banale. Emerge bene il varietale del Piedirosso.
Don Vincenzo Lacryma Christi del Vesuvio Doc Riserva 2015
Piedirosso 70% Aglianico 30% a piede franco dai vigneti Bosco del Monaco e Tirone della Guardia (250 e 350 m slm)
Affinamento in grandi botti di rovere francese per 24 mesi e poi altri 6 mesi di bottiglia.
Qui la potenza dell’Aglianico si sposa bene con la “grazia” del Piedirosso. Fra profumi ancora freschi di rosa e ciliegia e note più evolute di chiodi di garofano, bacche di ginepro e tabacco dolce, mentre non manca – anche in questo calice – la “firma” vulcanica, pressoché sulfurea. Piace l’intensità in bocca, l’equilibrio, la persistenza, i tannini nobili. Un rosso di forte personalità che corrisponde bene al territorio di provenienza: il Vesuvio.
“Rispetta e ama la terra, lei saprà ricompensarti” (Vincenzo Setaro, padre di Massimo)