Marina Alaimo “Acino Ebbro”
La città di Napoli in questo periodo prossimo al Natale è letteralmente presa d’assalto dai turisti. Oltre alla via dei presepi, che rappresenta il principale richiamo, ci sono tanti eventi culturali su questo tema. Ma l’altro grande attrattore è decisamente il cibo. In questo settore la città ha mantenuto una vivace ricchezza di piatti e dolci tradizionali legati alla festività più amata nel mondo.
La magia del Natale qui si accende particolarmente nelle pasticcerie. Chi arriva nella città di Partenope, la sirena alla quale i greci hanno dedicato una delle loro colonie più amate, cerca forsennatamente gli indirizzi più autentici dove assaggiare le tante specialità: la più richiesta è puntualmente il babà, il dolce che è l’anima napoletana.
La pasticceria Mignone è uno dei templi del dessert più apprezzati dai partenopei. La ritroviamo in pieno centro storico, in piazza Cavour, proprio all’ingresso del famoso quartiere della Sanità, o anche dei Vergini, il suo nome più antico.
Una zona di grande fascino, tra i ricchi palazzi settecenteschi, il grande complesso monumentale dei padri Vincenziani e della chiesa di Santa Maria alla Sanità con le sue catacombe. Numerosi turisti arrivano da queste parti anche per la casa dove nacque Totò e per le tante botteghe e luoghi del cibo.
A pochi passi poi c’è il Museo Archeologico Nazionale che registra numeri giornalieri di visitatori da capogiro con la sua esclusiva esposizione di affreschi e mosaici di epoca romana arrivati dall’antica Pompei.
Al grande banco pasticceria troviamo Ugo Mignone e suo figlio Raffaele, mentre è un continuo via vai di golosi. Il babà è il dolce maggiormente richiesto perché si sa che qui è particolarmente buono. Ma ci ritroviamo un’ampia varietà di leccornie secondo il gusto della tradizione. Ugo e Raffaele amano raccontare la storia importante e singolare legata a questo dolce che oggi si presenta nella tipica forma a fungo e ben imbevuto in uno sciroppo zuccherino a base di rhum. Risalendo le sue origini arriviamo in Polonia dove fu re Stanislao Leszczinski, famoso gourmet, ad ideare la ricetta durante il suo esilio nel Ducato della Loira.
Ma il babà come arriva a Napoli?
Re Stanislao era il suocero di Luigi XV al quale aveva data in moglie sua figlia Maria. Come spesso è accaduto per altri matrimoni tra reali di diversa origine, le culture polacche e francesi si contaminarono vicendevolmente anche in cucina. Il babà polacco aveva forma di cupola al fine di richiamare la basilica di Santa Sofia di Costantinopoli. Era bagnato nel Madeira, arricchito con zafferano, uvetta appassita e portava il nome di Alì Baba, il protagonista delle Mille e Una Notte (all’epoca l’Oriente andava di gran moda).
Arrivata a Versailles, Maria portò con sé anche Stohrer, il pasticcere alla corte di Stanislao. L’intraprendente pastry chef aprì in proprio una pasticceria al numero 52 di rue Montorgueil, dove tutt’oggi si preparano babà nella forma che lui cambiò. Un fungo brunito e lucente imbevuto nella bagna di acqua, zucchero e rhum, il distillato in voga a corte di Re Luigi XV.
In quel periodo storico Napoli era una illuminata e fervente capitale europea, in competizione con la magnifica Parigi dalla quale faceva arrivare molti chef e pasticceri per le grandi feste a palazzo reale, ma anche nelle famiglie nobili che orbitavano tra la corte regale. Non si sa esattamente chi lo abbia introdotto nel regno dei Borbone, ma sappiamo che a Napoli il babà diventa famoso. Un dolce cult, grazie anche al fatto che le pasticcerie ai primi del Novecento lo proponessero come dolce da passeggio o da banco nelle zone di maggiore passaggio, come la stazione centrale a piazza Garibaldi, e la bellissima via Toledo, la strada dello shopping, vicina al grande Teatro San Carlo, e delle caffetterie più in voga.
Una storia così affascinante che potrebbe essere protagonista di un bel film, ma che racchiudiamo in pochi morsi, seppure ricchi di sapore e sofficità.