(U.G.) Eravamo a dir poco curiosi di scoprire come il vitigno rosso più diffuso nel nostro Paese riuscisse o meno a dare buona prova di sé al di fuori dei confini nazionali. Ghiotta occasione il seminario sul Sangiovese nel mondo organizzato nell’ambito di “Sangiovese Purosangue”, svoltosi lo scorso gennaio a Roma. Una degustazione reale che mi fa molto piacere ricordare oggi, in un periodo in cui si sono diffusi i “tasting online” in modalità webinar previo invio dei vini al domicilio di tutti i partecipanti. Invece oggi torno a parlarvi di vini degustati in contemporanea, tutti insieme, gomito a gomito, senza distanziamento e ovviamente in epoca ante lock down. Nella speranza di tornare presto ad assaggiare vini nella maniera più conviviale possibile, com’è giusto e normale che sia.
Un ringraziamento non formale va a Davide Bonucci, organizzatore in qualità di presidente dell’EnoClub Siena dell’evento griffato “Sangiovese Purosangue”, un punto di riferimento consolidato per tutti gli amanti del Sangiovese in tutte le declinazioni e territori possibili.
“Un viaggio sensoriale sulle peculiarità internazionali del Sangiovese”, questo il tema del seminario il cui relatore, vero talent scout del Sangiovese itinerante è stato Bartolomeo Roberto Lepori, sommelier AIS, giornalista, nonché abile affabulatore giramondo.
Undici i vini degustati, provenienti da tre continenti diversi, non tutti da Sangiovese in purezza. Con qualche sorpresa e molte delusioni alle nostre aspettative. Ecco il dettaglio.
Arhonto Rose – Vinarija Krgovic 2018 (Montenegro)
Sangiovese 75% Montepulciano e Lambrusco 25%.
Si parte con un rosato dal Montenegro. La cantina Krgovic di Podgorica ha puntato su un prodotto basico di facilissima beva. Tre quarti di Sangiovese e un quarto di Montepulciano e Lambrusco. Una “formula” alquanto improbabile che dalle nostre parti sarebbe un eufemismo definire azzardata ma che oltre Adriatico hanno avuto il coraggio di proporre. Che dire? Un rosato ruffiano, “dolcino” improntato al lampone e alla melagrana, che non riesce ad ammorbidire una lieve ruvidezza nel finale.
Ora due annate diverse di Sangiovese in purezza (secondo il produttore) da vigneti allevati nella Valle de Cachapoal, in Cile.
Villaseñor – Kenos Sangiovese Reserva 2018 (Cile)
In entrambi i millesimi si fa uso (e si nota tanto) del legno nuovo delle barriques francesi. Il risultato è una maturazione un po’ troppo incisa specie nell’annata più giovane. La nota di ciliegia fresca rossa si disperde subito nello speziato e in un balsamico molto spinto. Gusto “piacione”, a tratti opulento, morbido oltre misura e – perlomeno – di buona freschezza. Matura per 8 mesi in barriques francesi. Da bere fra 4 anni, recita il sito dell’azienda. Noi siamo d’accordo.
Villaseñor – Kenos Sangiovese Reserva 2014 (Cile)
Prima delusione. Ci si poteva aspettare un vino più maturo, meno segnato dal legno e invece … Beh, se il 2018 fra quattro anni sarà come questo 2014 allora c’è qualcosa all’origine che non quadra. In questo calice è ancora molto presente la parte legnosa e poco il frutto. Il tannino resta aggressivo e il vino nel complesso risulta poco equilibrato. Forse quattro anni di affinamento a questo Sangiovese cileno non bastano? O forse risente di una vinificazione… all’antica?
Restiamo in Cile spostandoci, attraverso i calici, in un immaginario viaggio nella Valle dell’Aconcagua. Altri due vini di annate consecutive da Sangiovese in purezza: forti dubbi che sia così, però…
Viña El Escorial – Sangiovese 2018 (Cile)
Un rosso dall’altro mondo fortemente inciso dal legno e dall’alcol. Tanta vaniglia e un mix confuso di spezie. Giovane e robusto sulla carta; invece senza armonia e personalità. Potrebbe essere un vino originato da qualsiasi altro vitigno. 14 mesi in botti di rovere francese e 6 mesi di affinamento in bottiglia. Ma il Sangiovese non viene fuori.
Viña El Escorial – Sangiovese 2017 (Cile)
Un anno in più in bottiglia ci riporta una nota più vegetale. Si esprime sapido e fresco, carezzevole al palato, con il suo retrogusto più verde. Forse c’è una piccola quota di Cabernet? Ma l’essenza vera del Sangiovese (così come lo conosciamo noi) non riesce a farsi sentire.
Bovin Winery 2016 (Macedonia)
Nelle vigne di Lepovo, nella Macedonia del Nord, si coltiva un clone di Sangiovese stretto parente del clone romagnolo. Vinificazione e affinamento in acciaio e tanta bottiglia giovano tanto. Si esprime pulito, nitido, con i suoi freschi profumi floreali, di ciliegia matura e prugna. Il sorso è gradevole, garbato, di buona sapidità, setoso nei suoi tannini. Ci piace!
Esse – Catera (Crimea) – Sangiovese 2016
La Crimea è terra tormentata dalla guerra, eppur fertilissima, grazie al clima mite e quasi mediterraneo. Fra mille difficoltà (inclusa la chiusura temporanea della cantina) l’azienda Esse di Simferopol si è cimentata nella coltivazione del Sangiovese puntando sull’area denominata Kacha Valley. I risultati però non sono incoraggianti. Perciò sospendiamo il giudizio in attesa di assaggiare altro.
Dal Sudafrica abbiamo assaggiato numerosi esempi di grandi vini provenienti da vitigni internazionali ma si sapeva ben poco del Sangiovese. Ecco quelli di due diverse cantine. Cominciamo con le due annate della Da Capo Vinyards con i suoi Idiom.
Da Capo Vineyards – Idiom Sangiovese 2015 (Sudafrica)
Dai suoli di Stellenbosch un Sangiovese in purezza che profuma ribes e lampone, ferroso, addirittura ematico, striato di vaniglia. Al sorso è compatto, sapido, con una bella spalla acida, scorre su tannini fini ed eleganti. E’ verticale, nervoso, dinamico. Se lo paragoniamo al vino di 15 anni più vecchio (vedi sotto) possiamo ben dire che la cantina si è migliorata nel tempo. Maturazione in legno (80% francese e 20% americano) per 12-14 mesi.
Da Capo Vineyards – Idiom Sangiovese 2003 (Sudafrica)
Qui è rimasto il tannino. E’ stato uno dei primi tentativi di vinificazione del Sangiovese in Sudafrica. E si sente! Purtroppo patisce anche l’ossidazione.
Dalla Cia – Teano 2017 (Sudafrica)
Sangiovese 80% e varietà bordolesi non definite 20%.
Vigne a Stellenbosch. C’è un bel pezzo d’Italia in questo vino e anche nella cantina, fondata da Vittorio dalla Cia, di origini friulane. Titolare oggi è il nipote George.
L’apporto delle uve internazionali è voluto perché il Sangiovese in purezza non sarebbe andato incontro al gusto “internazionale”. Perciò il produttore ha puntato su un “taglio” più levigante. Nel calice si avvertono tutte le tre componenti tipiche di un vino ben “costruito”: balsamica, speziata, vegetale; il frutto però rimane in sottofondo. Un buon bere con “l’aiutino”.
Antica by Antinori Heritage – Sangiovese 2017
Nel 1993 la famiglia Antinori ha acquistato nella Napa Valley (California) una tenuta di 220 ettari dove coltiva tutta la serie vitigni internazionali ben noti. Ma non ha dimenticato di portare qui, dall’Italia, anche le piantine di Sangiovese. Perciò è partita avvantaggiata conoscendo bene il vitigno.
Tecnica italiana, suolo americano, un intreccio di stile toscano e californiano. La differenza nel calice c’è e si sente. In questo c’è anche un 5% di Malbec che prova ad ammorbidire il nostro Sangiovese. Diffonde tabacco dolce, fiori di rosa, spezie, lampone. Al sorso si apprezza la struttura di questo vino, lievemente inciso dal legno. Un rosso elegante, da manuale, che incontra bene il gusto “americano”.